Anche il peccato originale può essere reinterpretato, sia tenendo conto dell'esperienza mistica unitiva che sulla base delle moderne conoscenze sull'evoluzione della coscienza umana, e quindi ricollocato ad una maggiore profondità all'interno del processo di trasformazione dell'uomo.
Il Divino è mistero. La vera rivelazione di Dio supera lo strato della nostra coscienza di veglia. Ecco perché a questo livello sarà sempre possibile farne solo un'esperienza limitata, che si presenta in modo completamente nuovo quando l'uomo scende in profondità. I mistici che chiamano questo strato più profondo, nel quale si compie la rivelazione per l'uomo, il fondo, l’essenza, l'unio mystica. Qui l'uomo non fa più esperienza di qualcosa, qui “è” solamente.
La rivelazione si compie analogamente alla nostra presa di coscienza, vale a dire gradino per gradino, dal momento che anche la nostra coscienza attraversa un processo di sviluppo nell'ambito dell'evoluzione.
Tutte le religioni conoscono lo strato imperfetto dell'essere umano. Molte raccontano della “caduta”, del “peccato originale”. Il peccato originale non significa tuttavia la caduta da uno stato di coscienza superiore ad uno più imperfetta, bensì l'abbandono di un “Paradiso prepersonale”, il risveglio dall’ottusità della precoscienza all'esperienza del io, il passaggio dallo stato istintivo a quello nel quale si riconoscono il bene e il male, come dice la scrittura. Ha rappresentato un grande passo in avanti nell'evoluzione, introducendo tuttavia, al contempo, un pesante fardello legato a questa esperienza dell‘ego, vale a dire l'esperienza della malattia, della sofferenza, della colpa, della solitudine e della morte.
Il cosiddetto peccato originale non ha dunque creato la mortalità, ma la consapevolezza della mortalità e del fatto che è in atto una continua trasformazione di ogni cosa. Fino a quel momento l'uomo viveva praticamente allo stato dei fiori e degli animali.
Non si è dunque commesso peccato assaggiando il frutto dell'albero della conoscenza - questa non è che una metafora - il peccato è piuttosto costituito dal fatto che l'uomo, nel diventare un “io”, si è separato da Dio. “Erano nudi”, si legge nella scrittura. Non è certo una questione di abbigliamento; s'intende piuttosto che gli esseri umani erano caduti nella solitudine dell’io. La cacciata dal paradiso corrisponde all'ingresso nello stato personale, nel quale manca tale 'esperienza di unità con Dio. Il peccato originale non è una colpa del vero senso del termine, questo l'abbiamo già capito da tempo. È un dato di fatto legato allo sviluppo della nostra coscienza.
Il percorso verso l'esperienza mistica è il cammino verso il paradiso, ma non più quello dal quale siamo stati cacciati. Sarebbe regressione, ed equivarrebbe ad una fuga nel tentativo di far ritorno al grembo materno. L'evoluzione prosegue. Un giorno ci renderemo conto che Dio ha “sempre passeggiato con noi nel giardino dell'Eden”, che non siamo mai stati separati da lui - anche se adesso non lo sappiamo, ne faremo l'esperienza. Il paradiso si trova davanti a noi. Ecco perché noi cristiani lo chiamiamo “Nuova Gerusalemme”. È l'esperienza dell'unità con Dio.
Willigis Jäger