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Domanda: Le nostre vite sono svuotate di ogni vero impulso altruistico, e  cerchiamo di riempire questo vuoto con la beneficenza organizzata e la giustizia  legalizzata. Il sesso è la nostra vita. Potrebbe fare luce su questo difficile punto?  

Krishnamurti: Riformuliamo la domanda; il problema è che la nostra  vita è vuota, e non conosciamo l’amore. Conosciamo le sensazioni,  conosciamo le immagini pubblicitarie, conosciamo gli stimoli sessuali, ma  senza amore. Come trasformare questo vuoto, come produrre la fiamma  senza il fumo? È questa la domanda, vero? Proviamo a esaminare assieme il  problema.

Perché la nostra vita è vuota? Siamo attivissimi, scriviamo libri,  andiamo al cinema, ci divertiamo, amiamo e lavoriamo, eppure la nostra vita  è vuota, noiosa, semplice routine. Perché i nostri rapporti sono così sciatti,  vuoti e insignificanti? Conosciamo la nostra vita abbastanza bene per sapere  che la nostra esistenza ha davvero scarso significato: citiamo frasi e idee che  abbiamo sentito da altri, che cosa ha detto questo e quello, che cosa hanno  detto i mahauna, i santi contemporanei e i santi dell’antichità. Se non  seguiamo una guida religiosa, ne seguiamo una politica o intellettuale. Ci  rifacciamo a Marx, ad Adler o a Cristo. Siamo come dischi incisi, e  chiamiamo conoscenza quella che è semplice ripetizione. Impariamo  qualcosa, lo ripetiamo, e la nostra vita rimane profondamente sciatta, vuota,  squallida. Perché? Perché succede questo? Perché abbiamo assegnato tanta  importanza al pensiero? Perché la mente è diventata così preponderante  (idee, pensieri, la capacità di razionalizzare, di soppesare, di paragonare, di  calcolare)? Perché abbiamo dato alla mente una così enorme importanza?  Non sto dicendo che dovremmo diventare degli irriflessivi, degli emotivi e  sentimentali. Ma avvertiamo il vuoto della nostra vita, questo enorme senso  di frustrazione. Perché questa piattezza, questa superficialità? Potremo  capirlo solo esaminando il nostro modo di agire nei rapporti.  

Che cosa accade realmente nei nostri rapporti? Più che rapporti, non  sono isolamenti? Qualunque attività della mente non è forse rivolta alla  propria salvaguardia, sicurezza e difesa? Il pensiero, che definiamo un  processo collettivo, non è invece un processo di isolamento? Ogni nostra  azione non è forse un atto di autoreclusione? Lo potete verificare  quotidianamente. La famiglia è diventata un atto di isolamento, e come tale  si regge sulla contrapposizione. Tutte le nostre azioni mirano all’isolamento,  ed è questo che crea il senso di vuoto. Sentendoci vuoti, cerchiamo di  riempire il vuoto con la radio, il rumore, le chiacchiere, i pettegolezzi, la  lettura, l’acquisizione di conoscenze, la rispettabilità, il denaro, la posizione  sociale, e così via. Sono tutte componenti del processo di isolamento, e  perciò non fanno altro che rafforzarlo. Per quasi tutti gli uomini la vita vuol  dire isolamento, chiusura, resistenza, conformità a un modello. È un  processo senza vita, e di qui deriva il senso di vuoto, di frustrazione. Amare significa essere in comunione con l’altro, non solo in parte, ma totalmente,  integralmente, generosamente. Ma noi non conosciamo questo amore. Per  noi, l’amore è solo una sensazione. la sensazione dei miei figli, di mia  moglie, delle mie proprietà, delle mie nozioni, dei miei successi. Sempre lo  stesso processo di isolamento. La vita è una serie di chiusure, è una spinta  mentale ed emotiva all’isolamento, e solo occasionalmente entriamo in  comunione con gli altri. Ecco da dove nasce l’enormità del problema.

Questa è la realtà della nostra vita (rispettabilità, proprietà e vuoto),  da cui nasce la domanda: come andare oltre? Come superare questa  solitudine, questo vuoto, questa pochezza, questa povertà interiore? Credo  che la maggior parte di noi non voglia superarli. La maggioranza degli  uomini è soddisfatta così. Cercare un altro modo di vivere è troppo faticoso,  e così preferiamo rimanere come siamo: ecco il vero problema. Ci siamo  circondati di sicurezze, ci siamo circondati di muri che ci fanno sentire al  sicuro. Ma, di tanto in tanto, cogliamo un sussurro al di là del muro: un  terremoto, una rivoluzione, una scossa che soffochiamo subito. La maggior  parte di noi non vuole andare al di là del processo di autoreclusione, ed al  massimo cerchiamo un sostituto, la stessa cosa in una forma diversa. La  nostra insoddisfazione è molto superficiale: vogliamo trovare soltanto una  nuova soddisfazione, una nuova sicurezza, una nuova protezione, che è  sempre il solito processo di isolamento. Ciò che in realtà vogliamo non è  andare oltre l’isolamento, ma rafforzarlo per renderlo il più possibile  custodito e protetto. Sono pochi quelli che vogliono aprire una breccia per  vedere che cosa c’è al di là del nostro senso di vuoto, di solitudine. Chi cerca  soltanto un sostituto del vecchio troverà certamente qualcosa da cui far  dipendere la sua nuova sicurezza, ma altri vorranno spingersi oltre, e noi  andremo con loro.  

Per andare al di là della solitudine, del senso di vuoto, bisogna  comprendere come funziona la mente. Che cos’è ciò che chiamiamo vuoto,  solitudine? Perché lo chiamiamo vuoto o solitudine? Con che strumento di  misura diciamo che è questo e non quello? Qual è il punto di riferimento per  definire qualcosa “vuoto” o “solo”? Il punto di riferimento è sempre il  passato. Definendolo vuoto, gli applicate un nome e perciò credete di  conoscerlo. Ma denominare una cosa non è un ostacolo alla sua  comprensione? Molti di noi avvertono questa solitudine da cui vogliamo  fuggire. Molti di noi sono consapevoli della povertà interiore, della  manchevolezza interiore. Non è una reazione vana, è una realtà, e  applicargli un nome non lo risolve. Continua a esserci. Come fare per  conoscerne la natura, il senso? Dovete forse dare un nome a qualcosa per  conoscerlo? Mi conoscete solo perché sapete come mi chiamo? Mi  conoscerete solo guardandomi, entrando in comunione con me; ma  applicarmi un nome, incollarmi una definizione, mette fine alla nostra  comunione. Per conoscere la natura di ciò che chiamiamo solitudine  dobbiamo entrare in comunione con essa, e la comunione è impedita non appena applichiamo un nome. Se vogliamo comprendere qualcosa,  dobbiamo in primo luogo smettere di denominarlo. Se volete comprendere  pienamente vostro figlio, cosa di cui dubito, che cosa fate? Lo guardate,  osservate come gioca, lo studiate. In altre parole, dovete amare ciò che  volete comprendere. Se amate una cosa, entrate naturalmente in comunione  con essa. Ma l’amore non è una parola, né un nome e né un pensiero. Non  potete amare ciò che chiamate solitudine perché non ne fate totalmente  l’esperienza, ma l’avvicinate con paura, e non con paura della solitudine, ma  di qualcos’altro. Non avete mai riflettuto sulla solitudine perché non sapete  che cosa sia in realtà. Non ridete, non è una battuta. Sperimentate la  solitudine mentre stiamo parlando, e ne coglierete il significato.  

Ciò che chiamiamo senso di vuoto è un processo di isolamento  prodotto dal nostro modo quotidiano di entrare in rapporto, perché,  consciamente o inconsciamente, nel rapporto cerchiamo soltanto  l’esclusione. Volete essere gli esclusivi proprietari delle vostre ricchezze, di  vostra moglie o di vostro marito, dei vostri bambini. Applicate a una persona  o a una cosa la definizione mio, che vuol dire proprietà esclusiva. È questo  processo di esclusione che porta inevitabilmente all’isolamento, e poiché  nulla può esistere in isolamento si crea un conflitto, dal quale vorremmo  fuggire. Tutte le possibili forme di fuga (attività sociali, l’alcol, la ricerca di  Dio, la puja, cerimonie, danze e altre divagazioni) sono sullo stesso livello.  Se, nella vita quotidiana, vediamo questo continuo tentativo di fuga dal  conflitto, e se vogliamo superarlo, dobbiamo comprendere il nostro modo di  rapportarci. Solo quando la mente non fugge più, qualunque sia la forma di  fuga, è possibile essere in comunione diretta con quella cosa che chiamiamo  solitudine, essere soli. Per rimanere in comunione con essa, dobbiamo  diventarle amici, dobbiamo provare amore. Per comprendere qualcosa  dovete amarlo. L’amore è l’unica rivoluzione, e l’amore non è una teoria,  un’idea astratta. Non si impara sui libri, non dipende da modelli sociali  prestabiliti.  

La soluzione non va cercata nelle teorie, che non fanno che creare  ulteriore isolamento. Si trova solo quando la mente, che è pensiero, non  vorrà più fuggire dalla solitudine. La fuga alimenta il processo di isolamento,  mentre la verità è che ci può essere comunicazione solo dove c’è amore.  Solo allora il problema della solitudine verrà risolto.